Maturità 2019: analisi della prova di latino e greco
Maturità 2019 - prova di latino e greco
21 Giu, 2019

Questo articolo in breve:

  • Una prova ben pensata: tradurre Tacito e leggere Plutarco
  • Il contesto: quattro imperatori dal giugno 68 al dicembre 69 d.C.
  • Tacito: Otone tenta il colpo di stato contro l’imperatore Galba
  • Lo stesso episodio raccontato da Plutarco: il ruolo dei soldati nella congiura
  • Due domande sui testi e una, meno facile, sui generi letterari

20 giugno 2019: il primo esperimento di prova congiunta di letteratura latina e greca all’esame di stato ha proposto la traduzione di Tacito, Historiae, libro I, capitolo 27 (guarda qui il testo completo della prova). La scena è posta a Roma, nel convulso «anno dei quattro imperatori». Dal giugno 68, dopo il suicidio di Nerone, si fecero avanti uno dopo l’altro Galba, Otone e Vitellio, e tutti furono uccisi o si uccisero per opera del rivale che li seguì; solo nel dicembre 69 prevalse come nuovo principe Vespasiano, che diede inizio alla dinastia Flavia.

Il passo di Tacito concerne il primo successore di Nerone, Servio Sulpicio Galba, e Marco Salvio Otone. Galba era sostenuto dal senato ma era poco amato da buona parte dell’esercito. Otone aveva aiutato Galba a diventare princeps nel giugno 68, perciò si aspettava di essere ricompensato con la prospettiva della successione al potere, che non doveva parergli lontana, visto che Galba aveva già settant’anni.

Il 10 gennaio del 69, però, Galba annunciò come figlio adottivo e quindi come successore designato Lucio Calpurnio Pisone Liciniano: Otone si vide escluso dal potere e ordì una congiura per tentare un colpo di stato «mentre l’autorità di Galba era debole e quella di Pisone non ancora consolidata» (parole di Tacito stesso).

Leggere, tradurre, capire il passo di Tacito

Il brano è fatto di cinque soli periodi, densi e concisi com’è tipico di Tacito: qui sotto riportiamo testo e traduzione di un periodo per volta, con un breve commento a ciascuno. Abbiamo seguito il testo critico delle Historiae curato nel 1911 da C.D. Fisher per la collana degli Oxford Classical Texts.

Segni nefasti per Galba, propizi per Otone

Octavo decimo kalendas Februarias sacrificanti pro aede Apollinis Galbae haruspex Umbricius tristia exta et instantis insidias ac domesticum hostem praedicit, audiente Othone (nam proximus adstiterat) idque ut laetum e contrario et suis cogitationibus prosperum interpretante.

Il 15 gennaio [del 69 d.C.], mentre Galba celebrava un sacrificio davanti al tempio di Apollo, l’aruspice Ombricio gli annuncia che le viscere della vittima hanno un aspetto sinistro e che su di lui incombono un agguato e un nemico in casa. Otone, che era il più vicino a Galba, ascolta la profezia e la interpreta, per ragioni opposte, come propizia e annunciatrice del successo dei propri piani.

Qui agiscono tre personaggi, ma la breve principale praedicit ha per soggetto il meno rilevante dei tre, ossia l’aruspice Ombricio, che legge le viscere della vittima sacrificata. I veri protagonisti sono Galba, che ignaro vive le ultime ore della sua vita, e Marco Salvio Otone, che congiura per ucciderlo e prenderne il posto. Mentre Galbae è in dativo, retto dal verbo praedicit e congiunto a sacrificanti, Othone è il soggetto di due ablativi assoluti audiente… interpretante: in tal modo vittima e autore della congiura stanno vicini l’uno all’altro davanti al tempio, ma orbitano, per così dire, opposti intorno all’incolpevole sacerdote, e i segni che quest’ultimo vede sono nefasti per Galba, ma propizi al suo assassino Otone. Si scorge anche un contrasto fra ciò che l’aruspice «annuncia» (praedicit qui non significa «predice») e ciò che invece Otone tiene celato «nei suoi pensieri» (cogitationibus suis).

Il segnale dell’azione

nec multo post libertus Onomastus nuntiat expectari eum ab architecto et redemptoribus, quae significatio coeuntium iam militum et paratae coniurationis convenerat.

Poco dopo il liberto Onomasto annuncia [a Otone] che l’architetto e i venditori lo aspettano: questo era stato concordato come segnale che i soldati si stavano già radunando e che la congiura era pronta.

La narrazione prosegue con il presente storico spesso usato da Tacito. Gli studenti, a tutta prima, potrebbero aver avuto difficoltà a stabilire il referente del pronome eum: siccome però Otone è sia l’ultimo nome maschile del periodo precedente sia il soggetto del successivo, è a lui che sta parlando Onomasto, liberto greco coinvolto nella congiura. Avrà fatto difficoltà anche il nome redemptor: i dizionari latino-italiano danno i traducenti «appaltatore, aggiudicatario» di beni o servizi pubblici, «imprenditore, impresario». Qui però Tacito parla di una compravendita tra privati, perciò sembra usare redemptores come semplice nome derivato dal verbo redimere «comprare». La studiosa Cynthia Damon, curatrice di un commento al I libro delle Historiae (Cambridge University Press, 2003), traduce redemptores come «agents».

I candidati avrebbero forse potuto tradurre correttamente redemptores se avessero confrontato Tacito con Plutarco, che parla di «architetti» e poche righe dopo di «venditori» (τοὺς ἀρχιτέκτονας… τοῖς πωληταῖς): si tratta quindi di una compravendita, sebbene per il biografo greco Otone finga di voler rivendere un bene che aveva da poco acquistato.

Non sappiamo però quanti abbiano chiesto aiuto a Plutarco: era pur sempre una prova d’esame, e probabilmente pochi sono abituati a confrontare testi latini e greci. Proponiamo una soluzione per il futuro: se il testo greco deve servire per aiuto e confronto, meglio allora riportarlo per primo, in modo che i candidati lo leggano, almeno in traduzione, prima di affrontare la versione dal latino.

Osservate ora la sintassi dei primi due periodi. In quanto principe, Galba dovrebbe essere il centro dell’azione, mentre è sospinto ai suoi margini: tace e non sembra sospettare alcunché, mentre altri intorno a lui parlano in codice. La sintassi esprime con strutture brevi e implicite i fatti più importanti: i soldati sono riuniti, l’azione è innescata.

Il percorso di Otone

Otho, causam digressus requirentibus, cum emi sibi praedia vetustate suspecta eoque prius exploranda finxisset, innixus liberto per Tiberianam domum in Velabrum, inde ad miliarium aureum sub aedem Saturni pergit.

A chi gli chiedeva il motivo della sua partenza Otone disse, mentendo, che stava comprando dei fabbricati e che doveva prima controllarli, perché erano vecchi e quindi sospetti, e appoggiandosi al liberto va al Velabro passando per la casa di Tiberio, e di lì al miliario d’oro vicino al tempio di Saturno.

Otone deve spiegare perché si allontani da un sacrificio celebrato alla presenza del principe, e ha pronto un pretesto: l’acquisto di un fondo su cui sorgono dei fabbricati. I candidati avranno trovato difficile tradurre praedium, che secondo i dizionari più diffusi è il «fondo, podere»; ma siccome Otone parla di proprietà vecchie (vetustate) e dice di volerle esaminare per accertarsi del loro stato (exploranda), qui non si può tradurre con «campi, poderi»: è chiaro che si tratta di fabbricati, ma non sappiamo quanti studenti abbiano deciso di abbandonare la guida del vocabolario per seguire la logica. Magari qualcuno, perplesso, avrà avuto l’ottima idea di volgersi a Plutarco: il testo greco e la traduzione parlano in effetti di παλαιὰν… οἰκίαν «una vecchia casa».

Agli specialisti consigliamo invece di consultare il Novus linguae et eruditionis Romanae thesaurus compilato da Johann Matthias Gesner nel Settecento: la voce praedium indica una proprietà, vuoi in campagna vuoi in città (praedia rustica, praedia urbana), completa di edifici che ne consentano lo sfruttamento economico, come stalle, torchi, granai, frantoi.

Tacito segue poi il cammino di Otone fino all’incontro con i soldati suoi complici nella congiura. Il tempio di Apollo qui nominato era stato fatto costruire da Ottaviano Augusto dentro il proprio palazzo (domus Augusta), sul colle Palatino: lì spesso si riuniva il senato in epoca imperiale. Otone dunque esce dalla domus Augusta verso nord-ovest, attraversa il palazzo fatto costruire da Tiberio e scende al Velabro, uno spiazzo pianeggiante a fra i colli Palatino e Campidoglio; di lì costeggia parte del foro e raggiunge il tempio di Saturno, uno dei più antichi di Roma, che si trova subito a sud-est del Campidoglio. Ai piedi della scalinata del tempio sorgeva una colonna, dalla quale si misuravano (e si misurano ancora) le distanze da Roma: lungo le vie consolari veniva posta ad ogni miglio (circa 1,5 km) una pietra detta appunto miliarius, che riportava la distanza di quel punto dal miliarius aureus nel foro.

Tacito dà indicazioni topografiche che non hanno nessun significato per lo studente liceale medio, ma ne avevano per i suoi lettori: forse Otone voleva sottrarsi allo sguardo di qualcuno, o forse voleva accertarsi che intorno al palazzo di Augusto o nel foro non ci fossero soldati pronti a difendere Galba. Mettere accanto alla versione non solo dei testi ma anche una cartina del centro di Roma sarebbe stata una novità ancora più apprezzabile.

Quanto alla sintassi, soggetto e verbo principale (Otho… pergit) sono la prima e l’ultima parola di un complesso periodo, denso di strutture implicite: il participio requirentibus (che è un participio sostantivato in dativo e non un ablativo assoluto senza soggetto) e quello congiunto al soggetto innixus, il participio attributivo suspecta e il gerundivo exploranda concordati con praedia. Il verbo principale pergit è al presente storico, ma cum finxisset rivela che Tacito pensava a un’azione passata: nella traduzione abbiamo concordato i verbi al passato. Questo avrà messo in difficoltà qualche candidato: in italiano è consigliabile scegliere un tempo – o il presente o il passato – per tutto il brano, e uniformare tutti i tempi verbali a quella scelta. Notate che la sintassi, complessa come il percorso di Otone, ottiene anche un altro effetto: Galba è scomparso dalla scena.

I soldati prendono le redini dell’azione

ibi tres et viginti speculatores consalutatum imperatorem ac paucitate salutantium trepidum et sellae festinanter impositum strictis mucronibus rapiunt;

Là ventitré soldati della sua guardia del corpo lo acclamano imperatore e, mentre lui trema al vederli così pochi, lo mettono in fretta su una sedia e, sguainati i pugnali, lo portano via con sé.

Otone era stato per dieci anni governatore nella penisola iberica, perciò aveva avuto il comando delle truppe là stanziate: come alto ufficiale, è verosimile che avesse una scorta personale di soldati. Osservate di nuovo la sintassi: soggetto e verbo dell’azione decisiva sono i 23 armati (speculatores… rapiunt), che danno inizio al colpo di stato. Circondato e anzi quasi trascinato dai soldati, Otone è il loro complemento oggetto, tanto che a lui sono congiunti due participi passivi, consalutatum e impositum; l’unica azione che Otone compie, se così si può dire, è aver paura (trepidum): la paura di aver iniziato un’azione che potrebbe portarlo al vertice del potere come a una fine orrenda.

Il momentum del colpo di stato

totidem ferme milites in itinere adgregantur, alii conscientia, plerique miraculo, pars clamore et gladiis, pars silentio, animum ex eventu sumpturi.

Lungo la via si aggregano più o meno altrettanti soldati, alcuni perché partecipano alla congiura, altri per sorpresa: alcuni gridano e brandiscono le spade, altri tacciono, come se volessero prender coraggio dall’esito dell’azione.

Quando si tenta un colpo di stato, la differenza tra prendere il potere ed essere massacrati si decide nel momento in cui una parte sufficiente dell’esercito ha l’impressione che le cose prendano una piega favorevole all’eversore, e perciò decide di aggregarsi a lui, così da dargli proprio la massa critica e la forza d’urto necessarie al successo del golpe. Qui Tacito sembra intuire quel meccanismo cruciale: i soldati che portano Otone contro Galba non sono molti, ma sembrano convinti di farcela; perciò a loro si uniscono altri, taluni ignari della congiura, ma indotti a tentare il colpo di stato proprio perché attratti dalla risolutezza dei primi. L’esito (eventus viene dal verbo evenire «risultare, riuscire» bene o male) è incerto, ma l’azione ha ormai preso la china e non la si può più arrestare. Gli opposti ablativi clamore e silentio rivelano bene l’incertezza dei soldati, perché sia chi grida sia chi tace ha gli stessi motivi: la paura di fallire e l’urgenza di darsi coraggio.

Testo integrato e confrontato con una fonte greca: un’ottima idea

Non si può pretendere che dei liceali, per quanto bravi, abbiano chiaro lo svolgimento e le implicazioni di un fatto traducendo solo nove righe; di qui l’ottima scelta di premettere al brano latino il capitolo 21 del libro I delle Historiae e di aggiungervi il capitolo 28, ossia il suo seguito immediato. È stato di certo utile ai candidati leggere lo stesso episodio grazie al testo e alla traduzione di Plutarco, Vita di Galba, capitoli 24-25, che come abbiamo visto conferma quasi tutti i dettagli di Tacito; purtroppo sospettiamo che pochissimi studenti abbiano avuto l’audacia e il tempo di esaminarlo a fondo.

Le domande sui brani e gli autori

Nella terza parte, tre domande chiedono di approfondire i brani proposti e i loro autori. Vediamole una per una, in breve, visto che ai candidati si richiedono risposte piuttosto brevi.

La prima domanda chiede di confrontare i giudizi di Tacito e di Plutarco su Otone: è vero, come sostiene il quesito, che in Tacito egli è più ambizioso e determinato, mentre in Plutarco è quasi trascinato dai soldati all’azione; è vero però che Otone è presentato come lucido pianificatore nel capitolo 21, premesso in traduzione, ed è meno attivo nel brano latino. La sua «precisa strategia» si può scorgere nella sua trama di parole in codice e pretesti durante il sacrificio e forse nel lungo giro (di perlustrazione?) intorno al Campidoglio e al foro. Quando però Otone trova ad acclamarlo solo 23 soldati, appare anche secondo Tacito incerto e preoccupato, tanto che sono loro a prendere le redini del golpe.

La seconda domanda chiede di trovare nel brano di Tacito alcuni caratteri del suo stile, su tutti la brevitas, ossia la densità della sintassi e la concentrazione delle informazioni. La prosa di Plutarco appare a colpo d’occhio più ampia e distesa: lo stesso episodio è raccontato in 123 parole latine e in 224 greche. Altri tratti tipici di Tacito sono stati notati nel commento sintattico a ciascun periodo: prevalenza di strutture implicite (participi congiunti e ablativi assoluti), anafore, membri paralleli (alii… plerique e pars… pars), ellissi, antitesi.

La terza domanda chiede di confrontare i generi della storiografia e della biografia nella letteratura sia latina sia greca: essendo molto ampia, si può rispondere in 10-12 righe solo riassumendo le principali analogie e differenze.

Quanto agli storici greci, gli studenti possono ricordare dal IV anno qualcosa di Erodoto e Tucidide; improbabile che nel V anno abbiano trattato Eforo, Diodoro Siculo o Appiano. Mentre l’opera di Erodoto ha una struttura difficile da inquadrare, potevano dire che Tucidide inventò la monografia, ossia l’opera che circoscrive e approfondisce un singolo fatto o periodo contemporaneo.

Fra gli storici latini, a lui si ispirò Sallustio, che però non sapeva né voleva indagare le fonti e i fatti con la cura del suo modello greco. Allo stile denso ed ellittico di Sallustio si ispirò senz’altro Tacito, capace ben più dello storico repubblicano di scandagliare le perversioni di chi è a contatto con il potere. Tacito riprese invece da Livio la struttura annalistica: Annales e Historiae intendevano raccontare le vicende del principato dal 14 fino (forse) al 96 d.C. , e con ciò continuavano probabilmente i monumentali Annales di Livio dall’origine di Roma al tempo di Augusto.

Proprio per l’accentrarsi del potere nelle mani del princeps e per le logiche della successione nella sua famiglia, Tacito dà grande spazio agli intrighi e ai rapporti strumentali della corte: così la storia si fonda sui ritratti dei personaggi, sulla loro psicologia spesso cupa e contorta, sui loro vizi e le loro rare virtù. In Tacito insomma la storiografia si avvicina alla biografia. Quest’ultima però appare un genere compiuto in Svetonio (Vite dei Cesari) e in Plutarco (Vite parallele), autori all’incirca contemporanei, trattati come Tacito nel V anno. La biografia ha intenti morali ancora più scoperti della storia: aneddoti utili per dare impressioni e giudizi netti, episodi edificanti o terribili, virtù e vizi del personaggio come manifestazione del suo destino. Proprio per quest’impostazione morale, sia Svetonio sia Plutarco di rado approfondiscono le cause profonde degli eventi o le dinamiche della storia in cui il personaggi agiscono.

L’ultima domanda richiedeva conoscenze piuttosto chiare e ampie su due generi letterari, di cui la biografia non viene certo studiata con lo stesso approfondimento della storiografia. Probabilmente è stata formulata in modo piuttosto ampio e vago proprio per mettere ogni candidato in condizione di scrivere qualcosa. Forse però sarebbe stato meglio circoscriverla un po’ più precisamente: ad esempio poteva fare i nomi degli autori maggiori – Tacito, Svetonio, Plutarco, ma anche risalire a Erodoto, Tucidide, Sallustio e Livio – e invitare a sceglierne due o tre per un confronto più guidato.

Nel complesso, comunque, una prova ben costruita e stimolante: un cambiamento che ci auguriamo venga consolidato nel futuro.

 

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