Così i primi cristiani stabilirono la data della Pasqua
Grotta della resurrezione di Cristo con sudario
10 Apr, 2020

Il calcolo della data della Pasqua

La data della Pasqua cristiana non è fissa, ma cade in giorni differenti a seconda degli anni. In particolare, la Pasqua si celebra la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera. Si tratta di una regola precisa, che a prima vista può apparire complicata ma che ha precise ragioni storiche. Cercheremo qui di ricostruire perché i primi cristiani l’abbiano definita in questo modo, e che sistema abbiano elaborato per conoscerne la data con largo anticipo.

La Pasqua ebraica

Il punto di partenza della nostra ricostruzione risale alla Pasqua ebraica, o Pesach. La festività commemora il giorno in cui Dio liberò il popolo ebraico, che era tenuto in schiavitù in Egitto, e lo affidò alla guida di Mosè: gli Ebrei cominciarono così il proprio esodo attraverso il deserto del Sinai verso la terra promessa di Canaan, dove si sarebbero insediati 40 anni più tardi. Di tutto questo tratta il libro biblico dell’Esodo. Sull’origine del termine Pesach non c’è concordia tra gli studiosi, anche se l’opinione più diffusa lo fa risalire al verbo ebraico pāsaḥ, che significa “passare”, “andare oltre”.

Nel calendario ebraico la festa di Pesach comincia la sera del 14° giorno del mese di Nisan, il primo dell’anno, e dura otto giorni. Bisogna tenere presente che nel calendario ebraico la durata dei mesi è calcolata in base al ciclo della Luna, che dura circa 29 giorni e mezzo. Ogni mese aveva dunque 29 o 30 giorni e cominciava quando si osservava in cielo la prima falce di luna crescente. Il 14° giorno del mese è perciò anche il 14° del ciclo lunare, quando la Luna è piena.

La Pasqua cristiana

La religione cristiana si appropriò del termine Pesach, trascrivendolo dapprima nel greco Πάσχα (Pascha) e poi nel latino Pascha. Tuttavia il significato della festa venne profondamente trasformato: secondo i vangeli di Matteo, Marco e Luca (Giovanni non concorda con loro) Gesù fu crocifisso a Gerusalemme nel primo pomeriggio del 14° giorno del mese di Nisan, cioè quando cominciavano i preparativi per la Pesach ebraica. Tuttavia l’evento più importante per i discepoli di Gesù, e per la religione cristiana, sarebbe avvenuto di lì a due giorni: la resurrezione di Cristo, che divenne la Pasqua dei cristiani.

Il giorno della resurrezione

Come si vede, dal racconto dei vangeli emergono due punti di riferimento cronologici: la resurrezione avvenne senz’altro dopo il 14° giorno del mese di Nisan (data della crocifissione) e in un momento preciso, ovvero la mattina del «giorno dopo il sabato»; in altri termini, nel giorno che i cristiani avrebbero chiamato domenica. Ora, il riferimento alla domenica non creava nessun problema ai cristiani dei primi secoli; invece il riferimento al 14 Nisan li obbligava a legarsi alla tradizione ebraica: non esisteva un giorno fisso e corrispondente a esso nel calendario occidentale (giuliano), che si basa sul Sole e non sulla Luna.

I cristiani si staccano dal calendario ebraico

Come ha illustrato lo storico statunitense Alden Mosshammer nel bel saggio The Easter Computus and the Origins of the Christian Era, già all’inizio del IV secolo le chiese di Alessandria e di Roma – le due sedi vescovili più autorevoli – seguivano questa regola: è Pasqua la prima domenica dopo la prima luna piena che cada dopo l’equinozio di primavera, o nel giorno stesso dell’equinozio. Dunque i cristiani si erano staccati dal calendario ebraico e avevano introdotto, nel computo della data di Pasqua, l’equinozio di primavera come punto di riferimento.

In questo modo si ancorava saldamente la festività cristiana al calendario giuliano, in cui l’inizio di ciascuna stagione è definito dal punto in cui si trova la Terra lungo la sua orbita intorno al Sole: per la primavera si tratta dell’equinozio, che cade il 20 o il 21 marzo. Confrontando il calendario ebraico e quello giuliano si poteva infatti stabilire con certezza che la luna piena del mese di Nisan coincideva sempre con il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera

La regola dell’equinozio di primavera come base per il calcolo della Pasqua (insieme al primo plenilunio dopo di esso e alla prima domenica dopo il plenilunio) venne adottata formalmente dal concilio dei vescovi di Nicea, tenutosi nel 325 d.C., e ancora oggi viene usata per calcolare la data della festività.

Sapere la data di Pasqua in anticipo

Naturalmente il computo della data pasquale non è semplice. Soprattutto, è difficile prevedere in che giorno di un dato anno essa cadrà: mentre il giorno dell’equinozio di primavera è (quasi) fisso, non si può prevedere in quale fase si trovi la Luna all’equinozio.

Ora, se i cristiani fossero rimasti una piccola setta dell’ebraismo, per stabilire la Pasqua sarebbe bastato osservare la Luna di anno in anno: un sacerdote avrebbe potuto annunciare la prima falce di Luna in prossimità dell’equinozio, e così ci sarebbe stato un anticipo sufficiente per preparare la festa. Così faceva del resto il sommo sacerdote del Tempio ebraico per la festa di Pesach. Ma quando le chiese cristiane si diffusero in tutto il Mediterraneo, fino a Roma, e i vescovi poterono comunicare solo per lettera, la semplice osservazione della Luna non avrebbe assicurato l’anticipo necessario per organizzare le celebrazioni in modo opportuno.

Occorreva una formula certa per prevedere la data della Pasqua di anno in anno. Come abbiamo già detto l’unico elemento fisso a disposizione era l’equinozio di primavera; le variabili da calcolare erano due:

  • la fase precisa della lunazione nel giorno dell’equinozio: se per esempio il 21 marzo la Luna fosse stata al terzo giorno, allora il plenilunio sarebbe caduto l’undicesimo giorno dopo l’equinozio (quindi il 1° aprile);
  • il giorno della settimana in cui ci sarebbe stato il plenilunio: la Pasqua doveva cadere la prima domenica dopo quel giorno.

Come si capisce la difficoltà sta nel trovare la corrispondenza tra il calendario giuliano con le fasi lunari, che non seguono il calendario solare e perciò mutano ogni anno.

Cirillo, Metone e la prima tabella pasquale

Il più antico sforzo a noi noto di prevedere la data pasquale su lunghi periodi risale al V secolo e si deve a Cirillo, vescovo e patriarca di Alessandria. Secondo Mosshammer, Cirillo aveva preparato (o fatto preparare da astronomi e matematici) una tabella in cui erano indicate le date della Pasqua per ciascun anno dal 153° al 247° anno a partire da quando Diocleziano fu acclamato imperatore. Diocleziano divenne imperatore nell’anno che per noi è il 284 d.C., e sembra che in Egitto fosse uso comune contare gli anni da quella data. I calcoli di Cirillo abbracciavano dunque un periodo compreso tra il 437 e il 531 d.C.

Perché proprio 95 anni? Questo numero non è casuale: 95 anni corrispondono a 5 cicli di 19 anni ciascuno. E perché proprio di 19 anni? Già da molto tempo la tradizione occidentale aveva trovato nel 19 il numero aureo per raccordare il calendario solare con quello lunare.  Un millennio prima di Cirillo, nel V secolo a.C., l’astronomo ateniese Metone calcolò infatti che 19 anni solari corrispondono quasi esattamente a 235 mesi lunari.

Un anno solare dura in media 365,25 giorni (365 giorni e 6 ore: per questo aggiungiamo 1 giorno ogni 4 anni), sicché 19 anni solari corrispondono a 6939,75 giorni; 235 mesi lunari (precisamente: 110 mesi di 29 giorni e 125 mesi di 30 giorni) dànno un totale di 6940 giorni. Una differenza di appena 0,25 giorni, ossia 6 ore. Perciò, ogni 19 anni le fasi della Luna si ripetono negli stessi giorni del calendario solare: se giovedì 9 aprile 2020 c’è stata luna piena, dobbiamo aspettarci luna piena anche il 9 aprile 2039, fra 19 anni. Perciò, se quest’anno Pasqua cade il 12 aprile, che è la domenica più vicina dopo il plenilunio del 9, nel 2039 cadrà domenica 10 aprile, perché il 9 aprile sarà un sabato.

In verità, a causa di quel piccolo scarto di sei ore tra le due serie di giorni, su tempi lunghi potevano esserci delle alterazioni nei cicli di 19 anni. Per i più precisi, però, c’è una buona notizia: quello scarto è molto più piccolo di quanto aveva calcolato Metone. Gli astronomi moderni hanno scoperto che l’anno tropico (solare) dura un pochino meno di 365,25 giorni e che il mese sinodico (lunare) un pochino più di 29,5; perciò nel ciclo di 19 anni lo scarto è in realtà di soli 99 minuti, meno di due ore.

Dionigi il Piccolo aggiorna la tabella pasquale

Le previsioni di Cirillo arrivavano fino alla metà del VI secolo. Fu proprio in quel periodo che papa Giovanni I incaricò un monaco di nome Dionigi di preparare una nuova tabella, prima che le chiese cristiane restassero senza date pasquali (la tabella di Cirillo arrivava al 531). Dionigi si faceva chiamare «il Piccolo» (Dionysius Exiguus) in segno di umiltà, ma dal poco che sappiamo di lui era dottissimo. Nel 525 spedì una lettera alla curia papale, allegandovi la sua nuova tabella delle date di Pasqua, che copriva il periodo dal 532 al 626 – indovinate? Di nuovo 95 anni – e spiegando come andava usata.

Dal piccolo Dionigi al grande Gauss

Per concludere, facciamo un salto in avanti di milletrecento anni. Nel 1800, il geniale matematico tedesco Carl Friedrich Gauss elaborò una formula che consente, dati l’anno desiderato e due costanti M e N (usate per correggere i piccoli sfasamenti che si producono fra il calendario giuliano e il gregoriano), di calcolare la data della Pasqua di qualsiasi anno, passato o futuro. La formula si trova spiegata in rete e richiede di trovare il resto di poche semplici divisioni.

Però, alla fine del nostro lungo giro nei secoli e lungo le orbite, è interessante constatare come nelle divisioni e nelle addizioni di Gauss ricorrano 4 numeri, ovvero 4, 7, 19 e 30: 4 perché un anno ogni quattro è bisestile; 7 come i giorni della settimana (Pasqua dev’essere di domenica); 19 come gli anni del ciclo di Metone; 30 come i giorni approssimati di una lunazione.

Ah, quest’anno Pasqua cade il 12 aprile. Proprio come nel 537 e nel 548, il 6° e il 17° anno del primo ciclo decenovennale nella tavola di 95 anni compilata da Dionigi.

Una curiosità: proprio Dionigi, nella lettera alla curia papale, fu il primo a proporre di contare gli anni non dall’accessione al trono di Diocleziano né dalla fondazione di Roma, bensì dall'incarnazione di Gesù. (Il nuovo modo di contare gli anni si diffuse però solo verso il X secolo.) Il monaco calcolò, in base ai vangeli e alle fonti di cui disponeva, che al 247° anno dall’inizio dell’impero di Diocleziano doveva seguire l’anno 532 dall’incarnazione di Gesù, ossia il 532 dopo Cristo. Dionigi probabilmente sbagliò di alcuni anni, ma questa è un’altra storia.

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