Ecco come era fatto un libro all’epoca di Aristotele
Libri antichi nella scuola di Atene
18 Ott, 2018

Questo articolo in breve:

  • Esperienza di lettura antica diversa da quella moderna
  • I libri "antichi" della Scuola di Atene di Raffaello
  • Costruzione e stesura dei libri antichi (rotoli di papiro)
  • Difficoltà di consultazione dei libri antichi
  • Logoramento dei libri antichi e interventi dei copisti
  • Scrittura continua e assenza di punteggiatura nei libri antichi

Il libro è un oggetto che ci è assolutamente familiare, al punto che tendiamo a darne per scontate la forma e il modo in cui sia composto. In effetti, anche se sappiamo che nel Quattrocento l’invenzione della stampa rivoluzionò la storia libraria, spesso sottovalutiamo le differenze che separano la nostra esperienza di lettura da quella degli antichi. Non si tratta solo di maggiore o minore divulgazione delle opere, che ovviamente fu favorita dalla stampa: gli antichi Greci e Romani avevano un rapporto decisamente diverso con i loro libri, sia dal punto di vista fisico (ingombro, impugnatura, erosione dei testi) che psicologico. Leggere l’Iliade, una tragedia di Euripide o un’orazione di Cicerone nell’antichità coinvolgeva le attività mentali in modo differente e spesso era un’operazione non semplice. Cerchiamo di capire quali fossero le differenze.

I libri antichi nella Scuola di Atene di Raffaello

Nell’immagine che abbiamo posto qui sopra abbiamo riprodotto una porzione della “Scuola di Atene”, celebre affresco di Raffaello Sanzio. In quell’opera l’artista volle riunire in un unico ambiente i maggiori filosofi e pensatori della Grecia antica. Al centro pose Platone ed Aristotele, ciascuno con in mano un proprio testo: Platone reca una copia del dialogo Timeo mentre Aristotele porta la sua Etica. I tioli delle opere sono indicati sul taglio dei libri. Non sono del resto gli unici libri presenti nell’affresco. Qui per esempio vediamo Pitagora nell’atto di leggere un poderoso volume:

Rotolo di papiro: la forma dei libro antico

Raffaello potrebbe trarci in inganno. Né Platone né Aristotele né Pitagora conobbero mai libri di quel tipo. Fino quasi al termine dell’epoca antica i libri non ebbero l’aspetto rettangolare al quale siamo abituati, e non furono prodotti con la carta o la pergamena. Il loro aspetto era invece quello di rotoli di papiro. Quest’ultimo era una pianta che cresceva quasi esclusivamente in Egitto, lungo il delta del Nilo, dal fusto della quale venivano ricavate sottili strisce. Sovrapponendo due strati di tali strisce, disposte in senso opposto (perpendicolari le une rispetto alle altre), si creavano dei “fogli”, che poi erano incollati in successione per creare delle file lunghe alcuni metri ed alte una ventina di centimetri circa. Plinio il Vecchio ci ha lasciato un resoconto piuttosto dettagliato di come fossero prodotti i fogli di papiro (Naturalis Historia , 13, 68 e ss.).

Il testo era disposto in colonne verticali di larghezza ridotta, contenenti ciascuna tra le venticinque e le quarantacinque righe; quando giungeva al termine di una colonna, la scrittura continuava nella colonna successiva. Ora provate ad immedesimarvi in un lettore dell’epoca: con una mano prendeva in mano il rotolo e con l’altra cominciava a srotolare una porzione di papiro, recante la prima colonna; terminata quella colonna, srotolava la porzione successiva e riavvolgeva la parte appena letta in una spirale che si affiancava a quella maggiore. Man mano che la lettura procedeva aumentava il volume della parte di rotolo già letta e diminuiva quella da leggere, fino alla fine del libro, quando bisognava risvolgere tutto il papiro e ripristinarlo come era all’inizio, per permettere una nuova lettura del testo.

La scomodità del libro antico

Come si può immaginare la consultazione di testi del genere era decisamente scomoda. Pensate soltanto all’esigenza di rintracciare una parte precisa di un testo. Da studenti vi sarà capitato innumerevoli volte di cercare un paragrafo specifico all’interno di un libro. Nulla di più semplice: basta prendere il volume, sfogliarlo e rintracciare ciò che si cerca. Le cose erano più complesse per Euripide o per Virgilio: per trovare un passo particolare dovevano svolgere e riavvolgere continuamente i rotoli. Questo è uno dei motivi per cui spesso capita di avere, negli autori antichi, citazioni diverse di porzioni di testo tratte dalle stesse opere: infatti piuttosto che sobbarcarsi la fatica di trovare il passo originale, gli antichi preferivano affidarsi alla memoria, riportando le parole che si ricordavano, con conseguenti rischi di imprecisione.

La fragilità del libro antico

Un’altra conseguenza del metodo di composizione e di consultazione dei libri antichi è che essi erano molto più esposti dei nostri al logoramento. Lo sfregamento causato dallo svolgimento e riavvolgimento del papiro ne determinava spesso il logoramento o la cancellazione dell’inchiostro. Anche questo non era un problema da poco, soprattutto in un’epoca antecedente all’invenzione della stampa. Se oggi una nostra copia della Divina Commedia si rovina, siamo solo noi e la nostra biblioteca personale a rammaricarcene. Se succedeva lo stesso ad un libro di Lucrezio duemila anni fa era ben più grave: ogni libro infatti poteva servire da antigrafo, cioè da testo modello da ricopiare per crearne copie ulteriori. Ma se delle parti del testo erano danneggiate, potevano venire perse oppure sostituite da correzioni del copista, con risultati incerti che alteravano l’opera originale e venivano conservati nelle copie successive.

Abbiamo la fortuna di poter leggere una riflessione di un autore antico proprio su questo punto. Si tratta di Demetrio di Laconia, studioso del II secolo a.C., allievo di Epicuro. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. sommerse e  carbonizzò una serie di importanti testi filosofici che oggi, grazie alle moderne tecnologie, si iniziano a leggere e ricostruire. Uno di quei rotoli conteneva appunto un saggio di Demetrio, in un punto del quale l’autore si soffermava sui danni che nel tempo colpivano i libri: qui non si tratta di erosione bensì di tarli, ma il fatto interessante è che Demetrio discuta del tentativo fatto da un copista di aggiustare il testo. Simili interventi erano frequentissimi e potevano complicare non di poco la conservazione e la comprensione dei testi.

La difficoltà di lettura dei libri antichi

Per terminare, dobbiamo ricordare un elemento che distingueva la lettura antica da quella odierna. A noi sembra scontato vedere le parole ben distinguibili sulla pagina, ma anche questa fu una conquista, che si stabilizzò solo a partire dal Medioevo. I rotoli antichi riportavano la scrittura senza spazi tra una parola e l’altra, senza punteggiatura e, nel caso di opere poetiche, senza divisione in versi. Più che di lettura si doveva trattare di decifrazione, soprattutto nel caso di composizione liriche con metrica complessa. Per farci un’idea della situazione, immaginiamo di leggere Dante Alighieri in questo modo:

nelmezzodelcammindinostravitamiritrovaiperunaselvaoscuracheladirittaviaerasmarritaahiquantoadirqualeraecosaduraestaselvaselvaggiaeaspraefortechenelpensierrinovalapaura

Come ci si rende conto, la capacità di seguire il filo del discorso è appesantita dalla necessità di distinguere i termini, cioè di intuire, il più rapidamente possibile, dove finisca una parola e dove cominci l’altra. A tal proposito Aristotele ci ha lasciato una testimonianza interessante riguardo ad un autore già di per sé oscuro, Eraclito (Aristot., Retorica, 1407b):

È assolutamente necessario che il testo scritto sia facile da leggere e da comprendere, che poi è la stessa cosa. Tale facilità non la posseggono i discorsi che siano legati tra loro con molte particelle, o le opere con una difficile distinzione delle frasi, come quelle di Eraclito. Infatti discernere le opere di Eraclito è un lavoro impegnativo poiché non è chiaro se le parole appartengano a ciò che segue o a ciò che precede, come all'inizio della sua composizione.
ὅλως δὲ δεῖ εὐανάγνωστον εἶναι τὸ γεγραμμένον καὶ εὔφραστον· ἔστιν δὲ τὸ αὐτό· ὅπερ οἱ πολλοὶ σύνδεσμοι οὐκ ἔχουσιν, οὐδ᾽ ἃ μὴ ῥᾴδιον διαστίξαι, ὥσπερ τὰ Ἡρακλείτου. τὰ γὰρ Ἡρακλείτου διαστίξαι ἔργον διὰ τὸ ἄδηλον εἶναι ποτέρῳ πρόσκειται, τῷ ὕστερον ἢ τῷ πρότερον, οἷον ἐν τῇ ἀρχῇ αὐτῇ τοῦ συγγράμματος.

Un notevole miglioramento nella leggibilità dei testi si ebbe nel III secolo a.C. grazie all’uso degli accenti (prima assenti) e della divisione in versi della poesia (colometria). Entrambe le innovazioni furono introdotte dagli studiosi della biblioteca di Alessandria d’Egitto. Tuttavia bisognerà attendere ancora diversi secoli prima di avere una divisione tra le parole.

A questo punto possiamo formarci un’idea più concreta di quella che dovette essere la biblioteca del Liceo, la scuola che Aristotele fondò ad Atene nel IV sec. a.C.: una raccolta di rotoli, impilati uno di fianco all’altro, scritti a mano da copisti più o meno esperti e richiedenti uno sforzo notevole per la consultazione. La lettura di un libro doveva insomma poggiarsi su un forte convincimento e non doveva lasciarsi scoraggiare dalle molte difficoltà.

Categoria: