L'astronomia degli antichi e l'arroganza dei moderni
31 Mar, 2019

Questo articolo in breve:

  • Concezione errata dell'astronomia antica
  • Contributi di Lucio Russo alla conoscneza della scienza greca
  • Rivoluzioni moderne (Copernico, Newton) anticipate in epoca ellenistica
  • Ipparco scopritore del moto delle stelle
  • Atteggiamento dei moderni nei confronti del pensiero antico

Immaginate un bambino che osservi il cielo stellato in una notte d'estate. L'idea più semplice che si farà sarà quella di trovarsi al centro di una sfera, sulla cui superficie rotante siano infisse tante lampadine quanti sono i punti brillanti delle stelle. Visto poi che quei puntini "sorgono" e "tramontano" ogni notte, il geocentrismo inconsapevole del giovane ammiratore, unito all'immagine della sfera incastonata di stelle fisse, si farà sempre più forte in lui. Si capisce allora come gli antichi, quasi dei bambini della storia, abbiano avuto del cosmo un'immagine simile.

Ma siamo proprio sicuri che le cose stiano così? E se fossero i moderni, in realtà, ad avere una concezione ingenua della storia e del pensiero astronomico degli antichi?

Lucio Russo e la "rivoluzione dimenticata"

Le riflessioni che qui propongo traggono spunto dai preziosi lavori divulgativi di Lucio Russo, che negli ultimi anni ha portato all'attenzione del pubblico il debito della ricerca moderna verso la scienza greca (La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli 2013, Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista, Mondadori 2018).

 

 

 

Voglio ora parlare di un esempio notevole addotto da Russo, quello dell'astronomia. A scuola ci insegnano che se oggi abbiamo una conoscenza scientifica del cosmo, lo si deve a delle rivoluzioni fondamentali. Prima fra tutte quella di Copernico che, pur accettando il modello della sfera delle stesse fisse, postulò che al centro di quella sfera vi fosse il sole e non la terra.

Poi venne Newton, che scoprì il principio di gravitazione, ovvero quella forza che spinge i corpi celesti ad essere attratti gli uni verso gli altri e che spiega il motivo delle traietorie astrali. 

Il filo diretto tra scienza antica e moderna

In realtà, come mostra Russo, in entrambi questi casi si è trattato non già di scoperte ma di riscoperte. Quantomeno bisogna ricordare come sia Copernico che Newton abbiano riconosciuto nei testi degli antichi lo spunto per i loro studi. Ecco cosa scriveva Copernico: "Trovai innanzi tutto in Cicerone che Niceto aveva pensato che la Terra si muovesse. Poi anche in Plutarco trovai che altri ancora erano della stessa opinione... Di qui dunque, imbattutomi in questa opportunità, presi anch'io a pensare alla mobilità della Terra".

Ipparco e le "stelle fisse"

Un caso che lascia sbigottiti è quello di Ipparco, vissuto nel II secolo a.C. e considerato il maggiore astronomo dell'antichità fino all'epoca di Tolomeo. Nel 1718 Edmond Halley si rese conto che le stelle "fisse" in realtà fisse non erano affatto. Al contrario lo scienziato, confrontando le coordinate astrali con quelle tramandate da Tolomeo (a sua volta derivate da Ipparco) constatò che nei secoli gli astri avevano mutato la oro posizione. Dunque non esisteva nessuna sfera alla quale le stelle fossero attaccate.

Bene. Ecco le parole di Plinio Il Vecchio, riportate da Luigi Russo:

Ipparco si accorse che alla sua epoca era nata una nuova stella e dal suo moto, per il tratto in cui brillava, fu spinto a un interrogativo: se ciò non avvenisse più spesso, e non fossero in movimento anche le stelle  che crediamo fisse e perciò si accinse a un'impresa ardua anche per un dio: enumerare le stelle a vantaggio dei posteri e registrare gli astri assegnando loro dei nomi, con strumenti da lui inventati, con i quali poteva determinare la posizione e la grandezza di ciascuno. Si sarebbe così potuto stabilire facilmente non solo se qualche stella nasce o muore, ma anche, in generale, se una di esse si sposta e passa, e inoltre se cresce o diminuisce. Così egli lasciò il cielo in eredità a tutti: solo che si trovasse qualcuno in grado di assumersi la successione.

Come scrive Russo, "Halley non aveva fatto altro che eseguire il compito assegnato dall'antico astronomo [Ipparco], completando inconsapevolmente un esperimento progettato e iniziato due millenni prima".

Noi e gli antichi

Che conclusioni possiamo trarre da queste osservazioni? Russo sottolinea come lo studio del mondo antico sia indispensabile se vogliamo conoscere la civiltà moderna, che ha continuamente attinto dalla cultura greca e latina per le sue creazioni, in ogni campo, dalla scienza alla letteratura, dalla medicina alla filosofia. Questo è giusto e condivisibile. Ma possiamo dire di più.

L'Occidente ha sviluppato negli ultimi due secoli una sindrome di superiorità. Le conquiste ottenute nel campo delle scienze, della tecnologia e della medicina - il valore delle quali è indubbiamente enorme - ha finito per inorgoglire le coscienze. Al punto che, nel sentire comune, tutto ciò che conta è stato pensato e prodotto nell'epoca in cui viviamo. Si è così sedimentato un sostanziale disinteresse verso le creazioni umane di altre epoche (provincialismo cronologico) o di altre regioni (provincialismo geografico).

So già cosa si sta chiedendo qualcuno: belle parole, queste, ma cosa significano? Forse si viveva meglio al tempo di Euripide? Forse la libertà e i diritti umani sono meglio tutelati fuori dall'Occidente? Ecco, questo è il problema: per molti il riconoscimento delle conquiste attuali coincide con la mancanza di interesse per tutto ciò che sia diverso da noi, nel tempo o nello spazio. Si tratta di una grave rinuncia alla nostra innata curiosità, che alla lunga produce un inaridimento delle anime.

Se si rinuncia ad essere curiosi non ha più alcun senso ascoltare la voce degli antichi e si finisce anzi per misconoscerla: così nessuno più sa che la rivoluzione "copernicana" era già avvenuta al tempo dei regni ellenistici.

Le opere dei Greci e dei Romani sono uno scrigno di idee e visioni della vita. Se ci accostiamo a loro con umiltà ne riceveremo in cambio un dialogo fatto di domande, proposte, dubbi, illuminazioni, sorprese. L'obiettivo non è certo di imitare la vita degli antichi, ma di arricchire il nostro modo di intendere l'esistenza attraverso il confronto con punti di vista diversi eppure degni della nostra attenzione. Dopotutto se Copernico non avesse avuto questo atteggiamento forse non avrebbe raggiunto i suoi risultati. Ed allora dovremmo ripeterci ogni tanto le parole da lui pronunciate dopo la lettura dei classici greci e latini: "Di qui dunque, imbattutomi in questa opportunità, presi anch'io a pensare alla mobilità della Terra".

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