Il ladro "dormi-di-giorno": genialità del greco antico nelle parole composte
Ladro dormidigiorno, Esiodo
10 Nov, 2017

Questo articolo in breve:

  • Esiodo e l’aggettivo “dormi-di-giorno”
  • Invenzione di nuove parole in greco antico con suffissi o accostamenti di vocaboli
  • Uso delle preposizioni nelle parole composte
  • Parole composte nella poesia e nei linguaggi scientifici
  • Creazione di nuove parole come risposta alle richieste del pensiero
  • Importanza della lingua per conoscere la civiltà dell’antica Grecia

La letteratura greca nasce con Omero nell'VIII secolo a.C. Sul volgere dello stesso secolo un altro autore creava le sue opere e rivaleggiava con cantori epici nelle gare di poesia. Era Esiodo, originario di Ascra, piccolo paese della regione della Beozia. Di lui sono stati tramandati alcuni poemetti, tra cui uno, Le opere e i giorni, dedicato ai temi del lavoro e della fatica contadina.

Il cane denti-aguzzi e l'uomo dormi-di-giorno

Ricordo ancora quando, la prima volta che lessi Le opere e i giorni, incontrai una parola che mi lasciò stupito. Esiodo stava dando al contadino le sue raccomandazioni su cosa fare durante le varie stagioni. Giunta l'estate, una volta che il grano fosse stato raccolto, ripulito e sistemato negli orci, era il caso di mettere un cane a guardia del prezioso bottino: «Prendi un cane denti-aguzzi (καρχαρόδοντα, karkharódonta) e non risparmiar sul cibo, affinché mai un uomo dormi-di-giorno (ἡμερόκοιτος, hemerókoitos) abbia a rubar le tue ricchezze».

Tradurre "cane denti-aguzzi" dà un'idea del concetto espresso ma fa perdere del tutto la musicalità del termine: nel greco karkharódonta kýna sembra invece di sentire il ringhiare del cane. Tuttavia l'aggettivo davvero unico, invenzione poetica di Esiodo, viene subito dopo. L'uomo "dormi-di-giorno" è un'immagine potentissima, che evoca senza nominarlo il malcostume del ladro.

Il greco antico ha impiegato una parola, undici lettere, per gettare un baglio di senso in mezzo alla frase. In Italiano noi non siamo in grado di tradurlo con un vocabolo equivalente. Siamo costretti a mettere qualcosa di più (la specificazione "di") che, seppur minima, fa capire come la nostra lingua, a differenza del greco antico, sia molto meno disponibile a creare parole composte.

L'invenzione di nuove parole in greco antico

Il greco antico aveva ricevuto dall'indoeuropeo - la lingua da cui deriva, ricostruita dagli studiosi - un certo numero di vocaboli e concetti. Tale base lessicale fu poi arricchita enormemente con la creazione di nuove parole. Le strade percorse dai Greci furono due: l'aggiunta di suffissi alle radici (es. ποίησις, póiesis e ποίημα, póiema, dal verbo ποιέω, poiéo, che significa "fare, "creare", cfr l'italiano poesia e poema) e la creazione di nuove parole tramite l’accostamento di termini separati.

I composti con preposizioni nel greco antico

Gli accostamenti più frequenti, in greco antico, riguardano i termini composti con preposizioni. Basta aprire un vocabolario di greco su una pagina qualsiasi per rendersene conto: se κρατέω (kratéo), significa "sono forte", ἐπικρατέω (epikratéo) vuol dire "domino", "prevalgo", letteralmente "sono forte su (qualcuno)".

Si tratta di qualcosa che in italiano, come in gran parte delle lingue moderne, risulta sconosciuto. In pratica il greco antico tramite l'aggiunta di una o due sillabe iniziali, mutava il senso di una parola in una direzione piuttosto che in un'altra. Sfumature linguistiche che per noi sono quanto mai difficili da tradurre.

Facciamo un esempio. Il verbo ὁράω (horáo) significa guardare. Con l'aggiunta delle tre lettere della preposizione εἰς (eis, "verso"), il greco antico aveva una parola che il vocabolario Lorenzo Rocci traduce come "volgo lo sguardo a". In effetti per rendere lo stesso concetto siamo costretti ad utilizzare una perifrasi lunga e articolata.

Da questo fatto dipende la difficoltà di molti studenti di liceo nella consultazione del vocabolario: i significati proposti appaiono spesso peregrini o complicati. Se presi rigidamente alla lettera  possono anche condurre in errore.

Proprio perché un simile uso della composizione con preverbi non esiste in italiano, il procedimento della traduzione risulta a volte fuorviante per chi voglia capire il greco antico. La strada maestra dovrebbe invece passare attraverso la lettura e la comprensione diretta dei testi.

Accostamenti di parole in greco antico

Tornando alle parole composte del greco antico, l'altra grande categoria è quella dei vocaboli formati dall'unione di parole (radici) distinte. All'inizio abbiamo visto l'esempio del ladro "dormi-di-giorno" di Esiodo. Possiamo citare innumerevoli innovazioni di questo tipo: da demo-crazia (δημοκρατία, demokratía) a psico-logia (ψυχολογία, psykologhía), da mon-archia (μοναρχία, monarkhía) a filo-sofia (φιλοσοφία, philosophía).

Già Aristotele, nella Poetica e soprattutto nella Retorica, aveva fermato la sua attenzione sui termini che lui chiamava "doppi". Il grande filosofo sottolineava come tali creazioni fossero tipiche della poesia. In effetti non riusciamo ad immaginare il ladro “dormi-di-giorno” fuori dai versi di Esiodo. Per lo stesso Aristotele, se qualcuno avesse disseminato il proprio normale eloquio di “doppi”,  sarebbe scaduto nel ridicolo.

Obiettivamente il linguaggio poetico ha partorito la quantità maggiore di parole composte. Un contributo importante è poi venuto dai linguaggi tecnici, scientifici e dotti. Del resto in alcuni ambiti  tale attitudine del greco ha continuato ad esercitare il suo influsso fino ai giorni nostri, portando alla formazione di neologismi scientifici: si pensi alla gastroscopia (“osservazione dello stomaco”) o all’elettrocardiogramma (“trascrizione dell’elettricità del cuore”). Ovviamente questi termini non sono stati introdotti dai medici antichi, ma i medici moderni hanno imitato la duttilità del greco antico per crearsi un vocabolario efficiente.

Creazioni dotte o caratteristica della lingua greca?

A questo punto una domanda ci si impone. Le parole “doppie” sono uno strumento retorico in mano a poeti e filosofi, oppure una caratteristica intrinseca del greco antico? Per trovare la risposta, lasciamo la parola nuovamente ad Aristotele:

Gli uomini usano le parole doppie qualora le cose non abbiano nome e la parola risultante sia ben composta, come nel caso di “passatempo”. Ma se tali doppi si usano troppo, rendono il discorso del tutto poetico.

οἱ δ' ἄνθρωποι τοῖς διπλοῖς χρῶνται ὅταν ἀνώνυμον ᾖ καὶ ὁ λόγος εὐσύνθετος, οἷον τὸ χρονοτριβεῖν: ἀλλ' ἂν πολύ, πάντως ποιητικόν.
Artstotele, Retorica 1406b

“Qualora le cose non abbiano nome”: dietro questa semplice nota si cela un significato profondo. La lingua viene in soccorso dei suoi utilizzatori. Nel caso un individuo voglia esprimere un concetto che ancora non esista, può creare senza difficoltà un neologismo, unendo due parole già note. Così facendo disporrà di un’idea nuova, che all’improvviso esisterà per il solo fatto di poter esser nominata. Su quell’idea si potrà ragionare, discutere e ritornare.

In effetti, come è logico, la poesia non inventa dal nulla un’attitudine linguistica. Al contrario, sfrutta ed amplifica una tendenza tipica del greco antico: quella di moltiplicare vertiginosamente il vocabolario per far fronte alle richieste del pensiero. La stessa tendenza che del resto mostrano, come abbiamo visto, le parole composte con preposizioni.

Lingua e pensiero

Tra lingua e pensiero vi è un rapporto reciproco. Se la riflessione (filosofica, politica, scientifica) giunge ad elaborare idee nuove,  farà pressione sulla lingua perché questa concepisca parole inedite. Viceversa, la duttilità di una lingua, la sua capacità di mutare di continuo e di non fissarsi in ciò che sia stato già creato, dà in mano al pensiero uno strumento eccezionale. Lo stimola e lo lascia libero di esplorare. Non è un caso che le due lingue della filosofia per eccellenza siano il greco antico e il tedesco. Entrambe sono lingue creative, in grado di forgiar parole per ogni esigenza.

Un’ultima osservazione sullo studio del greco antico. Da quanto siamo venuti dicendo, consegue che la conoscenza della lingua greca sia fondamentale per chiunque voglia accostarsi alla civiltà di Omero e di Platone. Non si tratta solo di conoscere la grammatica o di comprendere il significato di un testo. Significa invece immergersi in un sistema di pensiero diverso dal nostro, estremamente libero, per il quale non possiamo che nutrire una grande ammirazione.

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