Come si studia la grammatica del greco antico?
acropoli atene
15 Dic, 2017

Questo articolo in breve:

  • Dubbi sul cosiddetto metodo natura
  • Grammatica come strumento per facilitare l’acquisizione linguistica
  • Esempio di utilizzo della grammatica nel metodo tradizionale
  • Esempio di utilizzo della grammatica nel metodo natura
  • Confronto tra i due metodi

Ieri, durante la presentazione del corso di greco online per principianti, abbiamo discusso con interesse del metodo di insegnamento del greco antico. In particolare abbiamo messo a confronto il metodo “grammaticale-traduttivo”, quello per lo più usato nei nostri licei, e il cosiddetto “metodo natura”, ispirato ai principi che Hans Henning Ørberg mise a punto per il latino nella seconda metà del Novecento.

Per chi si occupa di didattica delle lingue classiche ed insegna il greco antico si tratta di un tema a spinoso. Ma l’argomento suscita molte domande anche negli studenti. Infatti nei nostri corsi, dove la scelta di apprendere il greco antico è appunto, per tutti, una “scelta” e mai un’esigenza scolastica, il dubbio su come affrontare la materia è forte. Molte volte, quando introduco il metodo natura, emergono reazioni preoccupate: “Va bene Ørberg , ma la grammatica è fondamentale!”. Alcuni temono che si tratti di un approccio poco scientifico. Per questo ritengo opportuno fare chiarezza.

La grammatica è importante

Iniziamo a tranquillizzare gli animi: nello studio di qualsiasi lingua la grammatica è importante. Un’esperienza di apprendimento del tutto naturale, fondata solo sulla full-immersion nel contesto linguistico da acquisire, può essere molto complicata per un adulto. La plasticità neuronale di un bambino di due anni (età in cui si interiorizza la lingua madre tramite la sola “immersione” nel contesto linguistico) non può essere paragonata al cervello di una persona di venti, quaranta o sessant’anni. Per questo motivo la riflessione metalinguistica, cioè il soffermarsi sul come una lingua è strutturata, è uno mezzo prezioso a disposizione della didattica. Aspettare che l’adulto comprenda, solo dall’ascolto, come sono fatti i nomi (singolari, plurali, maschili, femminili, ecc.) o le coniugazioni dei verbi, può portare a scoraggiamento, demotivazione e abbandono.

Posto dunque che lo studio grammaticale è uno strumento irrinunciabile nell’acquisizione di qualsiasi seconda lingua (L2), la questione è come trattare la grammatica. In questo, i due metodi che vogliamo confrontare (grammaticale-traduttivo e naturale) si comportano in modo molto diverso.

L’approccio grammaticale-traduttivo al greco antico

Qualche tempo fa uno dei miei studenti mi raccontò di come, spinto dall’amore per il greco antico, avesse acquistato una grammatica con l’intento di studiarla da cima a fondo. Si tratta di un persona che non aveva mai avuto alcun contatto con il greco. Lo studio di quel testo, comunemente adoperato nei licei classici, si rivelò per lui assolutamente impossibile. Ma perché? Cerchiamo di capire.

Le prime quaranta pagine riguardavano la fonetica e le regole degli accenti greci. Con sconforto il mio studente dovette constatare che non si capiva nulla ma, confidando nel fatto che gli accenti potessero essere una questione secondaria, decise di andare avanti. Arrivò così agli argomenti che sono all’inizio di qualsiasi grammatica greca: l’articolo e la prima declinazione. Già qui, una persona digiuna di lingue classiche, deve scoprire cosa sia una declinazione: sostanzialmente, un elenco di tutte le forme possibili che un nome può assumere a seconda del numero (singolare, plurale e, in greco, duale), del genere (maschile, femminile e, in greco, neutro) e – in greco  – del caso. Anche in italiano abbiamo delle “declinazioni”, seppur minime: per esempio penna, penne, con la sola distinzione di singolare e plurale. Il fatto è che in greco antico ogni parola cambiava la propria terminazione (come in penn-a, penn-e) anche per indicare la funzione logica del nome all’interno della frase, cioè il caso: per esempio oikía (οἰκία, casa) era la terminazione del soggetto (nominativo), oikían (οἰκίαν) quella del complemento oggetto (accusativo).

Chiarito questo presupposto, finalmente arriva il paragrafo sulla prima declinazione. Una frase introduttiva avverte che appartengono a questa declinazione sostantivi femminili (la maggior parte) e maschili. Quindi inizia la descrizione dei sostantivi femminili:

Al nominativo i sostantivi femminili escono in -α oppure in -η: escono in -α i temi in α puro (preceduto, cioè, da ε, ι, ρ e che è generalmente lungo) e quelli la cui α è preceduta da σ, ξ, ψ, ζ, σσ, ττ, λλ, αιν (ᾰ breve); tutti gli altri escono in -η, derivante da ᾰ breve.

Enunciata la regola, ecco le eccezioni:

Apparente eccezione a tale regola sono alcuni nomi: κόρη, fanciulla; δέρη, collo; κόρρη, tempia… Altre eccezioni (τόλμα, coraggio; ἄκανθα, spina;  μέριμνα, cura; πρύμνα, poppa; ἔχιδνα, vipera; Αἴγινα, Egina) sono dovute e influssi dei vari dialetti.

Dopo una pagina e mezzo di spiegazioni su come si sono formate le varie terminazioni, viene proposta la tabella della declinazione, con tutti i numeri e i casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo vocativo). La declinazione andrà ripetuta più volte, trascritta ed imparata a memoria. Quando la “teoria” sarà stata assimilata, lo studente dovrà passare agli “esercizi”, cioè alla traduzione di frasi come la seguente (chi non conosce il greco non si spaventi!):

ἡ οἰκία μικρὰ ἐστιν. Ἀλλὰ ἡ κόρη φιλεῖ τὴν οἰκίαν.

(Leggi: E oikìa mikrà estin. Allà e kòre filèi tèn oikìan). Lo studente dovrebbe partire dall’individuazione dei verbi (ἐστιν, estin e φιλεῖ, filèi). Estin è la terza persona del verbo essere (“è”), quindi bisognerà cercare un soggetto (nominativo) singolare. Tale soggetto potrebbe essere οἰκία (oikìa) o μικρὰ (mikrà): entrambe infatti hanno la terminazione del nominativo della prima declinazione; dopo aver consultato il vocabolario lo studente scopre che  οἰκία (oikìa) significa “casa” e μικρὰ (mikrà) “piccola”. Quindi tradurrà: la casa è piccola. Con un procedimento analogo lo studente decifrerà la seconda frase: ma la fanciulla ama la casa.

Le difficoltà del metodo grammaticale-traduttivo

Ora torniamo al mio studente che cercava di studiare da solo la grammatica greca. Sì può capire come di fronte a regole come quelle enunciate nelle grammatiche greche, chiunque si senta perduto, specie se alle prime armi.  Per lui i sostantivi che escono in -α semplicemente non esistono; non ne ha mai sentito parlare e, per quanto ne sa, i sostantivi potrebbero uscire (che poi, si chiederà pure da dove diamine escano…) in beta, epsilon o pi greco! La grammatica sta costruendo una regola sul nulla. È vero, si potrebbe memorizzare subito un sostantivo di esempio, come οἰκία (oikìa) e attaccare la regola a quel modello. Ma anche così la parola oikìa per lo studente non avrebbe alcun significato: non avendola mai trovata né adoperata in un contesto dotato di senso, per lui si tratterebbe solo di un suono peregrino.

Qui bisogna fare attenzione. Questo è esattamente il punto in cui la stragrande maggioranza degli studenti che iniziano a studiare il greco antico si demotiva. Alla persona viene richiesto di immagazzinare una mole enorme di regole che per lei sono prive di senso. Quando ancora non c’è alcuna conoscenza della lingua (non è mai stata letta, ascoltata, capita), si chiede di fare uno sforzo incongruo di astrazione, scomponendo quella lingua e analizzandola nelle sue parti più piccole. Per lo studente non può che trattarsi di nozionismo allo stato puro. E dal nozionismo fuggirà (giustamente, aggiungo io).

Un nuovo modello di studio del greco antico

Adesso vi mostrerò come invece imposto il lavoro nei miei corsi. L’ispirazione viene sicuramente dal “metodo natura”, anche se quest’ultimo non va interpretato in senso troppo rigido. In particolare il rischio che si può correre è quello di creare una sorta di “religione della didattica”, con tanto di libro sacro (Lingua latina per se illustrata) e di padre fondatore (Hans Ørberg). Ørberg è stato un grande innovatore, col merito di aver dato uno scossone agli studi classici. Ma la riflessione sull’insegnamento delle lingue antiche deve progredire, aprendosi alle ultime acquisizioni della glottodidattica e continuando il percorso iniziato dal professore danese. Ciò vale ancora di più per il greco, di cui Ørberg non si occupò.

Tornando al nostro discorso, vediamo come la prima declinazione possa essere affrontata in modo più naturale. Anziché partire dalla grammatica, partiremo dal testo. Infatti già la prima lezione di greco antico potrebbe iniziare con la frase che abbiamo visto prima:

ἡ οἰκία μικρὰ ἐστιν. Ἀλλὰ ἡ κόρη φιλεῖ τὴν οἰκίαν.

(E oikìa mikrà estin. Allà e kòre filèi tèn oikìan). Immaginate questa frase stampata sotto a un disegno con una fanciulla dentro una casetta. L’insegnante, nel leggere la frase si aiuta con i gesti, indicando dapprima le mura della classe, quindi suggerendo il concetto di piccolo con le mani e, infine, mostrando una ragazza presente a lezione. Con il supporto dell’insegnante e del disegno, gli studenti riusciranno a decifrare quelle parole misteriose, trovando un senso e sentendosi soddisfatti per il risultato raggiunto (stupore da cui nasce la motivazione).

La lezione potrebbe poi proseguire con altre frasi dello stesso tipo. Fino alla fine della lezione stessa, quando agli studenti si sottoporrà quel tanto di grammatica che servirà per spiegare i fenomeni linguistici incontrati. Si dirà, per esempio, che in greco molti nomi terminano con le lettere alfa (α) o eta (η); che quei nomi sono quasi sempre femminili; che la loro terminazione cambia a seconda che siano soggetto o complemento oggetto (in questo caso si aggiunge una -ν finale). Questo basta. Alla seconda lezione introdurremo un nuovo caso (per esempio il genitivo) e lo integreremo con i casi già noti. Dopo alcune lezioni avremo completato lo specchietto della prima declinazione, con tutti i casi e numeri. Gli studenti avranno già memorizzato diversi termini, alcuni in α (pura o impura), altri in η. Per loro quei vocaboli “esisteranno”, nel senso che si saranno abituati a trovarli ed usarli in contesti sensati. E quello sarà il momento per suscitare la loro curiosità: “Vi siete chiesti perché una parola esce in alfa e un’altra in eta?”. Ora potremo introdurre la regola che la grammatica greca menzionata più sopra, enunciava all’inizio. Agli studenti non farà più paura perché avranno già dimestichezza con i termini della prima declinazione. La regola sarà un “di più” che spiegherà qualcosa con cui hanno confidenza.

Le differenze tra i due metodi

Per concludere, possiamo dire che la differenza fondamentale tra i due metodi qui presi in esame sia questa: il metodo grammaticale-traduttivo ha nella grammatica il punto di partenza e, sostanzialmente, l’obiettivo dell’insegnamento; la traduzione diventa, nel suo contesto, il banco di prova per verificare le conoscenze grammaticali apprese. Il metodo natura utilizza invece la grammatica come uno strumento per padroneggiare la lingua in tempi ragionevoli; il suo fine è quello di resuscitare il greco antico, come una lingua a tutti gli effetti, per godere appieno del contatto diretto con gli antichi scrittori.

Per evitare ogni equivoco nell’utilizzo del termine “natura”, credo che dovremmo trovare un altro nome per designare il metodo in questione. Tenendo conto del fatto che in esso la grammatica è tutt’altro che secondaria, e soprattutto della considerazione del greco come una lingua e non come un arcano oggetto di studio, credo che potremmo definirlo metodo linguistico.

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